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Danilo Lanteri è un pezzo di storia del windsurf in Italia.... Siamo onorati di ospitare su questo sito internet una serie di suoi articoli tecnici, in cui ci aiuterà a capire come sono fatte le tavole e le pinne da windsurf, e quali elementi determinano le loro prestazioni.

 

Windsurf: la tavola spiegata da Danilo Lanteri

In questa prima puntata, Danilo torna indietro nel tempo, e ci racconta in maniera appassionata la sua scoperta della tavola da windsurf, e le sue esperienze (anche come costruttore) con i primi modelli degli anni 70-80-90, e conclude con l'accenno a qualche spiegazione teorica in merito alle prestazioni dei nostri giocattoli.

Si tratta di una storia che suscita in noi una profonda invidia, perchè narra di una fase pioniera, in cui ci si divertiva con poco.... (o con meno), ma, soprattutto, in cui si continuavano a fare scoperte migliorative, che, per noi, sarà impossibile rivivere. Attraverso questo racconto, Danilo ci condurrà fino ai giorni nostri, ed, in articoli successivi, ci porterà a capire come sono fatte le tavole su cui viaggiamo oggi, il perchè delle loro diverse forme e prestazioni, e ci spiegherà l'importanza di un elemento, spesso sottovalutato, qual è la pinna, rispetto al comportamento in acqua di una tavola.

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Danilo Lanteri è ancora sulla cresta dell'onda, ed in quel di Riva Ligure (Imperia), ancora oggi, costruisce tavole e pinne da windsurf. Se avete bisogno di contattarlo, consultate il suo sito internet. Ma ora, bando alle ciance, ed ascoltiamo le sue interessanti parole.  

 

Quello che leggerete, è meglio dirlo subito, non è la Verità che come alcuni sanno, non esiste in sé. Ma se vi accontenterete del mio racconto di quasi 40 anni di passione diventata lavoro e pratica sportiva diventata conoscenza, alla fine avremo forse qualche strumento in più per capire da soli quasi tutto quello che ci serve, scoprendo allora, e con un sorriso, le trappole dei tanti, troppi teorici che affollano le spiagge e i surf shop.

Da ragazzo andavo in barca a vela e dopo i vent'anni, abbandonata l'università iniziai a lavorare in un cantiere nautico dove costruivamo proprio barche a vela. Destino? No, sono agnostico, volevo proprio quello evidentemente! Nel mentre, era la metà degli anni '70 e  un amico aveva acquistato in Olanda un Windsurfer Ten Cate, il primo windsurf che avessi visto in vita mia. Me lo fece anche provare, ma la difficoltà iniziale mi scoraggiò facilmente, anche perché la barca a vela era in quel periodo la mia passione (dopo lo sci che praticavo agonisticamente). Ma i tempi stavano maturando...

 

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Un amico di Nizza (Francia) che frequentavo (di più sua sorella in verità) intanto aveva aperto una scuola di windsurf a Juan les Pins e il risultato fu che... mi intossicai completamente con questo nuovo sport! L'anno dopo, era il 1979, stavo già costruendo la mia prima tavola avendo ricavato lo stampo della carena da un Sailboard Grand Prix che il mio amico mi aveva 'prestato'. In Francia erano avanti di almeno due anni! Stampai la carena ma non la coperta: quella la ricavai da un mio modello realizzato in gesso e poi, allora sì, stampato apportando già le prime modifiche al windsurf originale. Il mio spirito era già quello fin da subito: fare qualcosa di mio. E così fu. Per due anni ho venduto tavole piatte di 3.90 cm com'erano a quei tempi, vuote perché non potevo certamente comprare una schiumatrice, e quindi costruite come fossero barche, ma d'altronde era il mio lavoro e perciò non avevo difficoltà a ragionare in quel modo.

Il 1981 fu l'anno della svolta. Durante l'inverno, sempre il mio amico francese facendomi vedere un numero speciale di Wind sulla cui copertina c'era una foto di Robby Naish che saltava 'attaccato' ad un Windsurfer tagliato,  mi ripeteva: “ saut de vagues, que saut de vagues!” Salto di onde, nient'altro che salto di onde! Quello era il futuro! Impossibile resistere, dovevo avere anch'io un attrezzo simile! Detto fatto: in primavera  navigavo ormai senza deriva! Basta tavole piatte o a volume, solo funboard! I primi filmati di Jurgen Honsheid che strambava ( la mitica strambata power!) mi avevano totalmente coinvolto: urgeva imparare per poter emulare i primi campioni di questo sport che, ormai si capiva, era straordinariamente moderno e affascinante!

Ad agosto ero in Corsica con una tavola nuova e da lì iniziò la ricerca del vento, sempre più forte sempre più a lungo con sempre più onde... Rapidamente le tavole iniziarono ad accorciarsi ed io ero sempre più coinvolto dalla passione che nel mentre avevo fatto diventare anche lavoro. Il sogno. Volevo continuamente imparare nuove manovre, nuovi modi di andare,  saltare e surfare e la vicinanza della Francia con in  suoi spot mitici e i tutti i campioni che li frequentavano da imitare mi aiutò. Dovevo essere all'avanguardia per promuovere le mie tavole! Arrivarono poi le tavole in Clark Foam decorate come un surf, bellissime ma un po' pesanti. Le asimmetriche (anch'io ne presentai una al Surf '83 a Roma) e poi gli 'Slalom' fino ad arrivare un bel giorno alle tavole moderne, quelle costruite con la tecnologia del sandwich, leggere e rigide. Nel mentre io non avevo abbandonato del tutto la barca a vela e così mi capitava di partecipare, oltre che a bordo in equipaggio, anche alla costruzione di qualche grossa barca da regata (all'epoca c'era lo IOR) e quindi il sandwich e la tecnica “vacuum” per me non erano una novità (già nelle mie prime tavole vuote in coperta usavo un sandwich in PVC da 10mm). Erano i tempi in cui i “Custom” sopravanzavano di gran lunga e in tutti gli aspetti le tavole di serie, che erano meno efficaci, più pesanti e assolutamente poco attraenti. Non si poteva paragonare una tavola in plastica bianca con qualche riga colorata ad un custom decorato con disegni unici e colori sgargianti e in più lucidissimo come uno specchio! Un altro sapore!Ovviamente sui nostri custom mettevamo le straps “Da Kine” che aggiungevano il tocco finale e 'hawaiiano' mentre le tavole di serie si presentavano con straps che tutt'al più ricordavano qualche sandalo germanico! D'altronde era quella la nazione che rappresentava la maggior parte dei marchi del windsurf di allora (ma anche di adesso)!

 

 

Foto DL 2

 

Pian piano però l'industria si è fatta avanti assorbendo anche molti degli shapers nel mondo e riuscendo così ad essere aggiornata nelle forme ed efficiente nella produzione. La costruzione a sandwich, essendo le tavole del tempo ormai tutte bianche, ha contribuito al passaggio di consegne: dal di fuori ormai una tavola industriale non si riconosceva quasi più, o perlomeno era simile nell'aspetto, ad una tavola realizzata da un artigiano. Praticamente siamo ai giorni nostri. Oggi l'industria costruisce la gran parte dei pezzi consumati nel mondo (eh sì, non è più la romantica passione degli esordi) e qualche artigiano  vecchio o nuovo occupa una nicchia di irriducibili appassionati del lavoro su misura, unico e personale. Ne esistono ancora...

A questo punto, avendo costruito parecchie centinaia (maresciallo, ho detto costruite, non vendute!) di tavole potrei dirvi quali sono i parametri, le forme, le misure per riconoscere una tavola ben funzionante da una mediocre (premesso che tutto galleggia). Il fatto è che non lo so nemmeno io. Almeno non ad “occhio”,  cioè senza prendere misure su misure e analizzare attentamente l'oggetto, ma poiché qui voglio darvi uno strumento facile per capire senza dover per forza avere anni di esperienza...mi astengo dal consegnarvi il solito manuale...in 10 punti! Spesso servirebbe proprio l'undicesimo! Lasciamo stare. La materia è abbastanza complessa e merita più onestà.

Oggigiorno infatti non esistono più tavole evidentemente e completamente sbagliate, ma soltanto interpretazioni di utilizzo magari poco azzeccate. In pratica le tavole di oggi funzionano mediamente bene tutte, ma forse non sempre soddisfano a pieno i programmi per cui sono state progettate. Ma questo è un aspetto tipico, quasi ovvio della produzione industriale: è davvero difficile (quasi impossibile) soddisfare un gran numero di utilizzatori diversi, per capacità, luogo di pratica, esigenze e gusti, con un unico prodotto. Per questo infatti le case si sforzano di ampliare la loro offerta con una gamma infinita di prodotti onde 'coprire' tutte le richieste del mercato. Alcune cose però non sono cambiate, semmai sono state riconsiderate. Ad esempio, l'idrodinamica è sempre la stessa, ma applicata ad esigenze nuove. La planata ad esempio, che è l'ambito idrodinamico a cui noi ci riferiamo quando parliamo di windsurf, deriva sempre dalla stessa formula. Ve la espongo in forma molto semplificata, ma ragionevolmente veritiera per un'esposizione pratica e facile come la nostra (i più tecnici perdoneranno). 

La planata è frutto della portanza che indicheremo con P, la quale è una Forza che, in determinate condizioni (superfici piatte ad es.) si può descrivere, ripeto in maniera un po' grossolana ma abbastanza vicina al vero, come il risultato di Superficie x Velocità². Quindi scriviamo: P= SV². Cerchiamo di memorizzarla bene, molto bene, e cerchiamo anche di applicarla agli elementi che fanno parte del nostro mondo windsurfistico: tavola, vela, pinna. Il principio non cambia. Cambieranno senz'altro i parametri e quindi la risultante, ma il concetto sarà sempre lo stesso descritto da questa equazione: la Portanza sarà il prodotto della quantità di Superficie su cui agisce il flusso ( di un fluido in cui è immerso l'oggetto considerato) per la Velocità di scorrimento del flusso stesso sulla superficie appena misurata. Stessa cosa se sarà l'oggetto a scorrere in un flusso fermo, caso tipico della nostra tavola o pinna... Dovremmo sforzarci di possedere questo concetto  talmente bene nella nostra testa da riuscire a “visualizzare “ gli effetti  di questa facile equazione, che poi tanto facile non è, essendo presente un esponente... Equazione di secondo grado quindi...mmm, mumble mumble, i più esperti avranno riconosciuto la funzione che descrive una curva tipica...interessante per la nostra comprensione! Comunque ci faciliteremo le cose, tranquilli. Ritengo però la comprensione del concetto di portanza un passaggio indispensabile, fondamentale per la comprensione di gran parte delle caratteristiche, peculiarità e problemi che ci troviamo davanti ogni volta che dobbiamo scegliere, valutare, giudicare un attrezzo, che sia una tavola, una pinna, una vela o anche un'andatura, una manovra, insomma gran parte degli argomenti che questo sport ci propone.

Da una prima analisi della formula, non si comincia a capire che ad esempio, la Velocità essendo da considerarsi al quadrato, diventi man mano più importante e ad un certo punto tremendamente ingombrante per il risultato, la Portanza, che ci occorre? Chi mastica un po' di matematica avrà notato che la nostra equazione descrive una situazione di aumento progressivo man mano sempre più rapido del valore del prodotto il cui risultato è appunto la nostra preziosa Portanza. In un piano cartesiano la curva disegnata dall'equazione avrebbe una partenza dall'origine abbastanza lenta per poi iniziare a salire sempre più rapidamente verso valori vieppiù elevati. Ma non andiamo oltre. Pensiamo invece ad un effetto che questa equazione provoca ad ognuno di noi quando navighiamo: presente quando il vento è forte, ma molto forte, che facciamo fatica a trovare la vela piccola che ci permetta di resistere alla violenza del vento senza mai farci smettere di planare? Se scegliendo la 3.7 per planare sempre, dobbiamo aprirla per sventare nelle raffiche perché incontenibili, questo deriva proprio da quella V², cioè dal fatto che a quel livello di velocità di flusso (il vento) anche una piccola variazione della base, dovendola considerare al quadrato, porta risultati enormemente differenti, al punto da non riuscire più a tenere la vela, quando l'istante prima navigavamo benissimo! Un semplice calcolo per capire: il quadrato di 2 è 4. Il quadrato di 3 è 9. La differenza tra le basi è 1 e tra i loro quadrati è  5. Ma se ci occupiamo di 30 il suo quadrato è 900 e il quadrato di 31 è 961: la differenza tra le basi è sempre 1 ma stavolta tra i quadrati è di 61 unità ! Cioè, a due basi distanti di una unità corrispondono quadrati ben diversi a seconda del valore della base. Se proviamo (con una capriola semantica ma efficace) a sostituire ai numeri considerati, i nodi di velocità del vento e immaginare che ai valori dei quadrati risultanti corrisponda la forza che otterremo nella vela... capiamo immediatamente che non è la stessa cosa un aumento di vento dai 2 ai 3 knt o dai 30 ai 31 knt! Fossero chili da tenere con le braccia, nel primo caso 5 chili quasi non li sentiremmo, ma 61 non riusciremmo nemmeno a reggerli ! Pensate a cosa succederebbe a 40 nodi aumentando il vento di solo un nodo! Fate voi il calcolo, così cominciate a prendere confidenza con... la realtà, altro che “chiacchiere e distintivo” sulle spiagge!

La prossima volta quindi andremo sul pratico: forme, curve, angoli, resistenze e...strani fenomeni. Pensate soltanto che quello che avvertite così bene con le vostre braccia quando avete il boma in mano, avviene anche sotto i vostri piedi, ma l'acqua è 800 volte (ottocento) più densa dell'aria! Cominciate a “sentire”... la formula?  Ne vedremo delle belle!

Alla prossima, Danilo.

 

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