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Danilo Lanteri, noto costruttore di pinne e tavole custom, ci ha mandato questo spunto di riflessione, in merito ad un tema fondamentale per chi pratica windsurf: l'effetto delle pinne sotto la tavola. Le parole di Danilo sono, come sempre, molto interessanti, e ci invitano a ragionare, e a sperimentare.

 

Le pinne nel windsurf (di Danilo Lanteri)

Thruster o Quad? Vorrei aggiungere un contributo alla comprensione del dilemma.

Inizio con due considerazioni; innanzitutto la intrinseca e particolare situazione del windsurf: è l'unica imbarcazione mossa da vela in cui il timoniere fa parte dell'attrezzatura di bordo. Paragonato ad una classica barca a vela, il rider dirige la barca e quindi fa il  timone, sorregge l'albero e quindi fa da sartiame, regola la vela, e quindi fa da paranco di scotta per la randa, richiama lateralmente l'imbarcazione contrastando la coppia torcente vela-deriva, e quindi fa da equipaggio zavorra (prodiere), orza e poggia arretrando o avanzando la vela e quindi fa ora da randa ora da genoa, come si fa in barca. Tutto questo non con potenti manovre rigide, ripetibili e fissabili (winches, paranchi, bozzelli, rinvii e stoppers ) ma braccia, schiena e gambe. Insomma, non si dovrebbe considerare “la tavola” come attrezzo definito in sé, ma come complesso variabile, sensibile agli spostamenti di carico (come qualunque imbarcazione ma qui in maniera enormemente più evidente) composto di scafo e attrezzatura, dove l'attrezzatura è molto variabile, incostante nell'efficacia, affaticabile  e addirittura emotiva...!

 

Pinne da windsurf - Danilo Lanteri

 

 

L'altra considerazione riguarda il definire le pinne “accessori” della tavola. La tavola, imbarcazione a tutti gli effetti, presa da sola funziona esclusivamente se ferma: una zattera, in dislocamento. Appena si muove, grazie ad una vela, dovrà  immediatamente, anche con un solo nodo di velocità, avere uno scafo con una forma adeguata che resista alla spinta laterale della vela e che la trasformi virtuosamente in avanzamento. Ecco quindi apparire la chiglia.  Gli antichi galeoni molto panciuti e senza chiglia adeguata non bolinavano ma navigavano esclusivamente ai portanti sfruttando i venti costanti (alisei) che infatti vennero chiamati trade winds perché consentivano regolari scambi commerciali grazie alla loro costanza stagionale.  Dalle Azzorre ai Caraibi in un unico bordo, al lasco come si fa anche oggi.

Quindi, anche uno scafo planante come il windsurf, non potrà fare a meno di una carena apposita che oltre ad essere piatta per planare resista nel contempo alla fortissima spinta laterale dovuta alla spinta (tiro, meglio) della vela. Quindi? Quindi pinne! E non come “accessori”, ma come forma della carena. Soltanto perché le possiamo sostituire, ci sembrano “accessori”, ma lo sono tanto quanto le ruote per un'automobile, e anzi, di più. Oltretutto le pinne, a differenza dello scafo, hanno due lati, cioè due superfici, ognuna che “lavora” col flusso dell'acqua, sommando così le risultanti delle forze generate. Una  pinna da 20 è in realtà una 40, e a rigore, idrodinamicamente anche 60... poiché l'extradosso sviluppa molta più portanza, mentre la carena piatta della tavola lavora  solo con la faccia in pressione, quella a minor rendimento.  Le pinne invece sviluppano grosse forze là sotto e per questo contribuiscono grandemente al comportamento della tavola. Creano, posizionano e dosano continuamente il Centro di deriva dell'imbarcazione perché sono imbarcazione, non altro ! Non accessori, ma tavola.  

Pinne da windsurf - Danilo Lanteri: Quadra trax

Ha quindi poco senso idrodinamico ragionare in termini di 3 o 4 pinne, attribuendogli addirittura un nome, e, quindi, un'identità precisa. Fuorviante per comprendere. E' utile invece visualizzare le forze create da queste parti verticali come percentuale delle forze totali generate dalla carena. Forze localizzate in una parte magari, ma non distinte dalla carena. Ecco, le pinne sono parti verticali della carena. Una volta assimilata questa definizione si riesce a comprendere meglio il funzionamento del nostro ws.

A questo punto del discorso, perciò, thruster vs quad diventa una questione semantica: le pinne vanno considerate in quanto oggetto oppure in quanto forze? Considerandole oggetti, rimarremo fermi al solito schema, immobile e falsamente rassicurante, considerandole forze a disposizione, invece, ci inoltreremo in una nuova comprensione che porterà ad un utilizzo più cosciente. Il mio dilemma a quel punto non sarà più: “scelgo thruster o quad”, ma “di quanta e di che tipo di forza ho bisogno“, e anche “cosa voglio sentire sotto i piedi”.

A quel punto, non sarà più il numero delle pinne a farmi decidere, ma la superficie di quelle parti verticali della carena, la loro forma, il loro profilo (sezione), la loro flessibilità, la loro disposizione e anche il loro numero.

Pinne da windsurf - Danilo Lanteri: Soul trax

 

In termini pratici, se voglio sentire sotto i piedi certe sensazioni devo combinare i parametri della tavola con quelli delle pinne, pensandoli attributi della carena intesa come unicum, pensando al fatto che sopra lo scafo ci sono io, con le mie personali caratteristiche, parte attiva dell'attrezzatura, e quindi altro parametro in gioco per la composizione del risultato voluto.

In principio era il single fin... Forza antideriva necessaria. Un classico. Ma il ws ha la particolarità del timoniere-attrezzatura, che deve poter anche controllare perfettamente il telaio su cui sta navigando, piccola cosa rispetto alle dimensioni delle onde in mare aperto. La vela tira di lato, la pinna si oppone e... sgambetta il rider che, col suo semplice appoggio di piedi, non riesce a controllare perfettamente la forza generata: dobbiamo allora ridurre la leva della pinna senza ridurne però la forza antideriva. Come? Suddividendola in due metà entrambe più corte e quindi dotate di minore leva di ribaltamento. Improvvisamente la tavola, da imbizzarrita è diventata docile. Ma in verità, idrodinamicamente, due metà non danno lo stesso risultato dell'intero, e allora tre pinne, una centrale solo un po' più piccola della vecchia single e due laterali piccole sono un compromesso migliore. Il trifin. Da lì al thruster, tre pinne uguali, e ci si accorge che è aumentata la manovrabilità, grazie alla nuova distribuzione del Centro di deriva e al suo avanzamento (grazie alle sides). La tavola è diventata facilmente sovrasterzante!

A questo punto, basterà regolare la misura tra le singole parti per avere effetti più o meno marcati del fenomeno.

Ma il thruster, per sua conformazione a triangolo rivela una direzionalità instabile e, a meno di riavvicinarsi al single tramite una pinna centrale troppo importante, si risolve l'instabilità dovuta alla conformazione  'sbilenca' del thruster con l'allineamento verso il bordo della tavola di due pinne più piccole, una davanti all'altra: il quad. Si aumenta la direzionalità rinunciando ad un po' di  manovrabilità. Ma  a quel punto, i giochi sono fatti. Sono ammesse tutte le combinazioni e di conseguenza tutte le sfumature intermedie. La pinna singola sarà sempre la più efficiente idrodinamicamente perché dotata di allungamento corretto, corda efficace e forma adeguata liberamente allo scopo, ma utilizzabile con soddisfazione solo in un campo limitato della nostra azione, mentre tutte le altre configurazioni, pur pagando in termini di velocità consentiranno miscele di comportamento interessanti e sottili adeguamenti al gusto di ognuno.  L'importante, lo ripeto, è non partire da schemi fissati a priori, ma analizzare le proprie capacità per cercare di soddisfare quindi le proprie esigenze. Tenendo presente le premesse da cui siamo partiti: noi siamo parte dell'attrezzatura e le pinne non sono accessori. Quindi il nostro 'carattere' influirà sulla scelta delle pinne tanto quanto il loro abbinamento ad una particolare tavola nel creare la ricetta ideale per ognuno di noi. E non sarà allora il thruster o il quad a soddisfarle, ma le forze che avremo creato sotto i nostri, e ripeto nostri, piedi a farlo. Per altri piedi serviranno altri abbinamenti.

Pinne da windsurf - Danilo Lanteri: wave killer

 

“Non conta il colore del gatto, l'importante è che prenda il topo” diceva Mao Tze Dong.  Sganciamoci dagli schemi e impariamo a cercare la nostra 'forma' di carena verticale e sperimentiamo grazie al fatto che la parte di carena verticale è l'unica modificabile dell'intero scafo. Approfittiamo di questo fatto disponendo pinne diverse per forma, misura e posizione. Ad esempio, perché tre pinne devono essere 2+1? Provate 1+1+1, cioè tre pinne diverse... rimarrete sorpresi dalla piacevole novità. Il bottom turn, è uguale al cut-back? No, sono diverse la velocità, l'angolo di attacco, il raggio di curva, la porzione di carena in gioco, la forza sviluppata da voi, rider-attrezzatura, sulla tavola, e quindi perché devono essere uguali i due lati della carena? Avete la possibilità di modificarli, fatelo! Come in una dissolvenza da film potete 'sfumare' un quad verso un thruster e viceversa!

Un thruster con le side grandi e la centrale piccola si avvicinerà ad un twinzer ma più controllabile, il quad in un thruster, assecondando il vostro modo di surfare. In pratica si possono creare tutte le sfumature che si vogliono scoprendo magari nuovi assetti a noi molto più congeniali dei soliti  che altrimenti, restando fissi su vecchi schemi ci saremmo preclusi. Non copiate l'amico, provate. Quisque faber fortunae sue. Almeno nel windsurf...

Danilo Lanteri

 

Leggete anche l'articolo sulle nostre impressioni su una tavola Thruster, ed una tavola Quad, messe a confronto.

Leggete l'articolo di Danilo Lanteri sugli albori del windsurf....

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